Indipendenza e cooperazione per il futuro della Sardegna

Sabato, 02 Novembre 2013. di Franco Branca - Casa Sardegna Numero di letture: 2409

Indipendenza e cooperazione per il futuro della Sardegna

Nel mondo esistono una serie di "mercati ", ovvero di collettività territoriali organizzate politicamente ed economicamente come sistema, che tra loro stabiliscono patti e che di fatto (anche se tutti barano) accettano la regola della non ingerenza negli affari interni degli altri. Non si tratta di singoli Stati, ma di insiemi di Paesi all'interno dei quali esiste un capofila (USA, Cina, Russia sono i principali).

Gli equilibri mondiali sono costantemente scomposti e ricomposti. Esiste una pace apparente che in realtà nasconde una guerra costante, nella quale tutti sono diversamente coinvolti, che tenta di modificare gli equilibri esistenti a favore di questo o quel territorio. Questo accade nelle cosiddette "aree di crisi" ed oggi principalmente in alcuni territori come il Vicino Oriente, il Medio Oriente e l'Africa, nei quali si gioca l'accapparramento di risorse energetiche strategiche non soltanto per lo sviluppo (leggasi arricchimento di paesi e corporations) ma per la stessa sopravvivenza di enormi quantità di popolazione mondiale.

In questo quadro l'Europa organizzata nella UE si muove con alcune alleanze consolidate (a cui corrispondono accordi commerciali) principalmente con il sistema egemonizzato dagli USA e risente positivamente ed economicamente degli effetti della "salute" di quel sistema, che non sta benissimo, perché per arricchirsi ha imbrogliato mezzo mondo spacciando carta moneta falsa.
La cosiddetta Europa ha partecipato a questo imbroglio e ne paga le conseguenze. Ma l' Europa, così come gli USA, è un'astrazione concettuale che in realtà corrisponde ad un'entità assai complessa, composta da una serie di collettività territoriali organizzate su scala minore in termini politici ed economici, all'interno delle quali gli equilibri sono costantemente rimessi in discussione perché i meccanismi di "compensazione" tra paesi, territori, categorie sociali ed in ultima analisi tra gli uomini, vengono costantemente alterati e ricomposti.

Si tratta, infatti, all'interno di ciascuna area, di mantenere costantemente le condizioni che consentono ad alcuni gruppi sociali alleati di continuare a trarre profitto dalla situazione esistente, innanzitutto in termini finanziari e poi, anche, in termini economici.

Tutto questo è facilmente individuabile nella realtà quotidiana anche a casa nostra, sia in ciò che accade nel settore agricolo che in quello industriale ed in quelli della finanza e dell'energia.
Come mai in Sardegna (ma negli alri territori europei è uguale) i nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono stati realizzati da grandi gruppi industriali e finanziari mentre i piccoli operatori hanno potuto raccogliere soltanto le briciole? Ma vi rendete conto di quale gigantesca presa per il culo è in atto? Il meccanismo è questo: si dice "produrre energia pulita conviene alla società" quindi si stabilisce - con accordi ai massimi livelli politici economici e finanziari – che il costo di questa operazione deve essere ripartito nella collettività (che dobbiamo pagarlo tutti attraverso il costo dell'energia elettrica in bolletta) e si utilizzano i nostri soldi per finanziare chi vuole produrre tale energia.

Il risultato di questo giochino è che in realtà a godere dei finanziamenti e dei cosiddetti "incentivi" sono principalmente i grandi gruppi finanziari, che controllano le banche, mentre i piccoli operatori che oggi sono quasi tutti in difficoltà, non godono di quello che viene chiamato "merito creditizio" e quindi non possono ottenere i finanziamenti necessari all'investimento, anche se questo sarebbe di sicura produttività e la restituzione dei prestiti è garantita tanto da configurarsi in una vera e propria rendita.

In questo scenario chi può cerca di salvarsi ma la situazione non regge più. Da nessun punto di vista. Sono in crisi, infatti, tutti i rapporti consolidati tra uomini, tra territori e tra paesi. E necessariamente viene rimesso in discussione tutto sia su scala macro che micro.

Perché mai, all'interno dell'Europa, il lavoro di un operaio deve essere pagato 2500 € in Germania, 1200 € in Italia e 250 € in Bulgaria ? Perché in Germania esistono ammortizzatori sociali che consentono a un disoccupato di vivere con 1500 €, in Italia con un terzo ed in altre realtà con niente? E' giusto che all'interno dell'Italia esistano categorie di dipendenti che hanno lo stipendio e la pensione garantiti a vita mentre altri vivono nell'incertezza ? E' giusto che esistano alcune categorie di cittadini che grazie al fatto che hanno lavorato possono continuare a godere di un sostegno economico da parte della collettività mentre altri che non sono stati altrettanto fortunati non ne godono?

Siamo nella condizione di poterci permettere di dare a tutti un reddito minimo capace di garantire la sopravvivenza senza chiedere un apporto di produzione? Il nostro sistema agropastorale può essere ancora regolato da patti che garantiscono sempre e comunque le rendite di pochi "industriali" alle spalle del lavoro dei pastori?

Gli attuali patti sociali, a tutte le scale, non reggono più. Sinora si è cercato (con relativo successo) di compensare gli squilibri prodotti dagli attuali meccanismi di produzione della ricchezza con una pluralità di strumenti, sia a livello internazionale che europeo e nazionale.
Per stare all'Europa – o meglio a quella parte dell'Europa politica organizzata politicamente nella UE – il problema è il fallimento del tentativo di unificazione europea perché non si è riusciti a integrare i paesi ed i territori economicamente più forti con quelli meno forti (solitamente individuati come in via di sviluppo).

Ed in questo quadro, ovviamente, aumentano le spinte centrifughe dall'Europa, tanto che nella stessa Francia è ormai messa in discussione la permanenza nell'euro e si moltiplicano le spinte localistiche ad uscire da quei rapporti soffocanti. Per restare in Italia, non siamo soltanto noi sardi a pensare a soluzioni territorialmente e politicamente differenziate.

Ma ci basterebbe dividere i nostri destini da quelli dell'Italia e dell'Europa per risolvere i nostri problemi? Io penso di no. Certamente l'indipendenza è una condizione che ci permetterebbe di trovare nuovi rapporti col resto del mondo potenzialmente di enorme vantaggio, ma non basta.
Ciò che è necessario è che troviamo anche al nostro interno nuove modalità di relazione che realizzino due condizioni: una partecipazione alla distribuzione della ricchezza prodotta più equa e condizioni di premialità della retribuzione del lavoro condivise, fondate non sulla rendita finanziaria o di posizione ma sull'apporto di utilità a favore della comunità.

E' necessario, cioè, che rimettiamo in discussione tutti gli attuali equilibri e le posizioni individualmente acquisite, per definire nuove regole più giuste. La difficoltà sta nel condurre questa operazione creando costantemente il consenso necessario al suo successo, senza operazioni punitive verso questa o quella categoria sociale, rispettando per quanto possibile i diritti acquisiti, se fondati su basi di ragionevolezza e di riconoscimento sociale, e garantendo innanzitutto i diritti più elementari e lo sviluppo delle opportunità.

Ma se vogliamo continuare a vivere con un ruolo di protagonisti in questo mondo, e non di comparse, siamo obbligati a fare una rivoluzione pacifica, che rimetta in discussione tutto e costruisca un ordine superiore.

In Sardegna questo è più possibile che da altre parti. Possiamo trasformare in punti di forza alcune nostre debolezze ed innanzitutto la nostra piccola dimensione territoriale ed economica e la nostra oggettiva separatezza e diversità dall'Italia. Possiamo tentare di fare questo in un processo condiviso con Italia ed Europa, se abbiamo la determinazione necessaria a pretendere il riconoscimento del nostro diritto all'autodeterminazione. Indipendenza come precondizione quindi. Ma non basta.

Individuazione di nuovi patti sociali all'interno della nostra comunità, fondati su valori sostanziali di maggiore giustizia ed equità, a partire dal godimento delle risorse collettive (aria, acqua, terra sole, vento) e da un diverso rapporto tra il singolo e la comunità basato su un impegno al reciproco sostegno.

Il singolo deve pretendere dalla comunità la realizzazione delle condizioni per potersi sviluppare e la comunità deve pretendere dal singolo che la sua capacità di produzione sia condivisa con la collettività.

Una nuova società fondata sulla cooperazione tra gli uomini non sulla sopraffazione dell'uno nei confronti dell'altro. Non abbiamo altra strada, le altre, che abbiamo già sperimentato, ci mostrano tutti i giorni i loro limiti.

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