Ambiente, salute, lavoro.
Ci sono delle domande semplici a cui ciascuno di noi deve rispondere nel confronto sulle scelte da fare oggi e per le prossime elezioni, cruciali anche per la formazione delle alleanze. Una, di persistente attualità, è riproposta dalle discussioni attorno alla centrale che dovrebbe bruciare carbone nel nord Sardegna:
in una situazione come quella attuale della nostra isola, posto che alla salute ed all'ambiente ci teniamo tutti, quali rischi ci sentiamo di correre per la salute nostra e dei nostri figli, in cambio della sopravvivenza di attività industriali esistenti ed inquinanti (es SARAS) o di nuove possibili attività (es. trivellazioni per ricerca metano)? E' sufficiente una risposta di principio, scontata, che privilegia la salute rispetto al ricavo in stipendi ? E' possibile una risposta diversa?
Ricordo, alla fine degli anni sessanta , una vertenza dei chimici alla Rumianca (per i giovani: la più importante industria del nucleo industriale di Macchiareddu): la commissione operaia del Manifesto distribuiva un volantino di solidarietà con la parola d'ordine "la salute non si monetizza" per contrastare una delle richieste della piattaforma sindacale che prevedeva l'introduzione di una "indennità di nocivo".
La tesi del Manifesto era che le sorgenti dell'inquinamento andavano eliminate, la tesi di tutti i sindacati era invece che erano sopportabili e che avesse priorità l'incremento del salario dei lavoratori. Se gli operai non ci avessero rispettato, perché ci vedevano costantemente al loro fianco e conoscevano le nostre intenzioni, ci avrebbero cacciati via a calci nel sedere. Ma nonostante tutte le discussioni davanti ai cancelli della fabbrica, in assemblea la grande maggioranza dei lavoratori premiò le proposte sindacali. Sono passati quasi 45 anni da allora e ci ritroviamo a parlare dello stesso problema, ma probabilmente molti degli operai con cui ci confrontavamo allora sono morti di cancro, come a Marghera.
Non è cambiato nulla? No, è cambiato molto, moltissimo. Ma io credo che il cambiamento sia intervenuto non soltanto nella cosiddetta "coscienza di classe" degli operai (che purtroppo è costretta dal bisogno ad accettare l'inaccettabile - vedi fatti dell'ILVA di Taranto), quanto nella consapevolezza diffusa nella società sugli effetti devastanti dell'inquinamento prodotto da impianti non sufficientemente protetti e garantiti per la salute.
Per rispondere alla domanda iniziale, mi pare difficile pensare che ancora oggi qualcuno se la senta di accettare iniziative pericolose per la salute della collettività. La tecnologia ha fatto enormi progressi ed esistono i modi per ridurre al minimo, se non annullare del tutto, i rischi. O vogliamo continuare come ancora quarant'anni fa, quando nel Sulcis esistevano decine di migliaia di operai che ricevevano una pensione d'invalidità per la silicosi e quasi la consideravano una fortuna, perché consentiva una sopravvivenza relativamente sicura anche se modesta? Oggi dobbiamo dire con decisione che non accettiamo più il ricatto dello stipendio in cambio della perdita della salute. Questo vale anche per tutte le industrie in attività, oltre che per valutare ipotetiche quanto improbabili nuove iniziative industriali.
Ma il discorso, soprattutto per il Sulcis, non può fermarsi a questo. Quel territorio è stato reso in gran parte inutilizzabile a causa dell'inquinamento sedimentato, ed il primo obbiettivo è recuperarlo totalmente alle sue vocazioni economiche naturali. I grandi inquinatori che hanno causato questi disastri senza pagare possono cavarsela senza pagare i danni e mettere a disposizione le risorse occorrenti per le bonifiche ?
Lo chiediamo alla Procura della Repubblica di Cagliari, alla quale Casa Sardegna ha da tempo inoltrato un esposto denuncia sottoscritto anche da Rossomori, Sardegna Libera e Verdi attraverso gli avvocati Roberto Frongia ed Annamaria Busia.
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Giacomo Meloni
Giacomo Meloni
Grazie a Giacomo Meloni per la sua lettera che abbiamo pubblicato tra gli interventi in home page
Franco Branca